Un percorso critico sull’interpretazione

La cultura contemporanea si contraddistingue per la viva coscienza linguistica e per la consapevolezza della possibilità di decomporre e ricomporre linguaggi, attraverso le prassi e gli interventi filosofici, letterari, giuridici di decomposizione e ricomposizione. Tramite l’orientamento gius-realistico e la teoria scettica della scuola genovese Riccardo Guastini, allievo di Giovanni Tarello, ascrive l’interpretazione nella filosofia del diritto tra le insidie del linguaggio e del meta-linguaggio. Il lavoro di analisi e di chiarificazione concettuale svolto negli anni da Riccardo Guastini (Genova, 1946) rappresenta una grammatica teorica imprescindibile per chi si occupa di interpretazione giuridica. Il grande teorico del diritto grazie a dicotomie ed esemplificazioni ha reso comprensibile il complesso fenomeno dell’interpretazione. Nell’opera “L’interpretazione dei documenti normativi”, oltre ad altri argomenti inerenti al tema, Guastini cerca di definire l’interpretazione giuridica basandosi sulla propria teoria interpretativa sottolineando i problemi riscontrabili al momento dell’interpretazione.  

 

1.  Interpretazione

 

1.1 Tentativi definitori

Il diffondersi degli accostamenti antiformalistici e gius-realistici sul piano teorico e la crisi della giustizia sul piano storico hanno stimolato il dibattito sull’interpretazione. La discussione si è sviluppata attraverso il confronto tra posizioni neoformalistiche e posizioni neoscettiche, come quella di Guastini; il quale sostiene che interpretare non è conoscere la norma ma produrla. Per questo motivo nella letteratura filosofica-giuridica il concetto di interpretazione è controverso.

Molti autori ritengono che qualora nascano dubbi e controversie, si debba interpretare attraverso un’attività decisoria mentre altri vedono nell’interpretazione la chiave per comprendere il campo di applicazione di un testo. Parte della dottrina sostiene che l’interpretazione è un atto conoscitivo con cui si censiscono i significati, in contrapposizione con chi sostiene che attraverso l’attività interpretativa si decida una controversia. L’interpretazione viene poi vista da alcuni, come un'attività di sistematizzazione del diritto tipica dei giuristi teorici, mentre da altri come la manipolazione dei testi normativi.

Guastini intende l'interpretazione dei documenti normativi come l’attività con cui si accerta e si attribuisce significato, senso e riferimento ad un testo giuridico. In altre parole, quando si parla di interpretazione di fonti del diritto significa chiarire il contenuto normativo e il suo campo di applicazione. L’eterogeneità definitoria di questo concetto comporta, in primo luogo, la costruzione di varie teorie dell’interpretazione in quanto l’interpretazione resta pur sempre un’attività mentale con la quale si può dedurre che tutti i testi normativi siano suscettibili di diverse interpretazioni e di una pluralità di significati; in secondo luogo, l’enunciato normativo non avendo un significato univoco crea problemi interpretativi a causa di norme dai contorni indefiniti e vaghi.

 

1.2 Teorie dell’interpretazione

L’interpretazione giuridica è attività mentale, di scelta, fatta dall’interprete ma è anche un’attività discorsiva. Lo scopo di queste teorie è decidere se l‘interpretazione è atto di conoscenza o di volontà all’interno dell’enunciatoi. Nel pensiero giuridico moderno vi sono tre teorie: cognitiva, scettica e eclettica.

La teoria cognitiva sostiene che l’interpretazione è scoperta del significato oggettivo dei testi normativi o dell’intenzione delle autorità normative; perciò le parole hanno un unico significato intrinseco. Tramite questa interpretazione si scopre il significato già incorporato nelle leggi, infatti ogni enunciato ha sempre una sola interpretazione vera. Secondo questa teoria i sistemi devono essere completi (privi di lacune) e coerenti (privi di antinomie).

La teoria scettica, al contrario, ritiene che l’interpretazione sia valutazione e decisione, vista come un atto di volontà. Per questo motivo, i testi normativi emanati dalle autorità sono suscettibili di diverse interpretazioni. Questa teoria sottintende che ogni parola abbia un significato proprio attribuito dal parlante, dall’ascoltatore o da una coincidenza dei due. Infatti ogni testo legislativo può essere interpretato in modo diverso, a seconda dell’atteggiamento valutativo dell’interprete. Non si può tracciare una linea netta tra legislatore e giudice perché qualunque sistema giuridico è incompleto; per questo di fronte a lacune e antinomie i giudici creano e derogano a norme esistenti. Il padre della teoria scettica è Hans Kelsen, secondo il quale, ogni testo normativo offre agli interpreti una cornice di molteplici interpretazioni diverse ed ammissibili. L’interprete può attribuire un significato per scelta, ovvero attribuire significati nuovi; in altri casi l’interpretazione può essere effettuata dagli organi dell’applicazione ovvero da giuristi. Guastini contrario alla teoria contemporanea dell’anti-scetticismo, perché quest’ultima trascura l’interpretazione in astratto, quando invece è necessario effettuare una previa identificazione delle norme prima di applicarle al caso concreto, sposa invece la teoria scettica moderata.

La terza teoria è quella eclettica, la quale afferma che l’interpretazione sia il risultato di un processo di conoscenza e il prodotto di una decisione discrezionale.

Ciascuna di queste tre teorie è intesa come un’analisi del discorso degli interpreti e per questa ragione può essere criticata o può risultare non del tutto soddisfacente. Infatti Guastini nella sua opera sostiene : “l’esistenza di dissensi interpretativi non esclude l’esistenza di consensi interpretativi e viceversa”. In effetti le tre teorie non hanno il medesimo statuto logico rispetto ad altri enunciati interpretativi; la teoria cognitiva è oggi screditata e per di più è evidente che la versione moderata dello scetticismo è suscettibile di assumere differenti varianti.

 

2.  Criticità

 

2.1 Molteplici tecniche interpretative

Gli argomenti dell’interpretazione sono procedimenti discorsivi attraverso i quali si esplicitano le ragioni di una determinata interpretazione e si giustifica il significato attribuito alla norma. Infatti si possono trovare tanti tipi di enunciati interpretativi quante sono le pratiche interpretative: interpretazione in astratto, in concreto, cognitiva, decisoria, creativa ecc….

Per ragioni di sintesi le tecniche interpretative si classificano secondo due criteri: il primo criterio distingue l’interpretazione in astratto (identificazione della norma) dall’interpretazione in concreto (concretizzazione della norma); il secondo criterio differenzia l’interpretazione dei testi normativi dalla produzione di norme nuove inespresse. Le tecniche utili ad identificare le norme sono l’argomento a contrario, l’interpretazione sistematica in senso stretto e l’interpretazione adeguatrice. Le altre tecniche servono ad indicare la norma ed a concretizzarla, come ad esempio la dissociazione e l’analogia.

Per quanto riguarda il secondo criterio le tecniche interpretative utilizzate sono: l’argomento del significato proprio delle parole, l’intenzione del legislatore, interpretazione sistemica, adeguatrice ed evolutiva. L’interpretazione a contrario in funzione produttiva è sicuramente tecnica produttiva. Questo tentativo esplicativo conduce a concludere che attraverso le tecniche interpretative non si riduce la vaghezza dei significati ma si vanno a creare questioni interpretative potenzialmente difficili.

 

2.2 Indeterminatezza e lacune dell’ordinamento

Oggi le controversie interpretative dipendono non solo dalla molteplicità di tecniche interpretative accettate ed egualmente applicabili, ma anche dalle tesi dogmatiche elaborate dai giuristi, dall’equivocità oggettiva del linguaggio e dal contesto in cui l’enunciato si inserisce. Tradizionalmente si ritiene che l’interpretazione giuridica non sia un’operazione neutra e scevra da contenuti ideologici ma una tecnica che sviluppa naturalmente le proprie dinamiche sulla base delle istanze e dei valori di cui gli interpreti si fanno portatoriii.

I problemi più rilevanti in materia nascono dall’indeterminatezza dell’ordinamento e delle norme.

L’ordinamento è indeterminato, nel senso che è dubbio quali norme esistano in esso, o vi appartengano. Ciò deriva dalla equivocità dei testi normativi, dal fatto che ogni disposizione ammette più interpretazioni ed è soggetta a possibili controversie interpretativeiii. Bisogna sottolineare che i documenti normativi sono tutti potenzialmente equivoci quindi l’interpretazione giudiziale esige una scelta tra significati in conflitto tra loro che si può effettuare solo con una scelta a carattere decisorio. Innanzitutto, l’interprete si confronterà con problemi di vaghezza ed ambiguità, in seguito dovrà far prevalere uno degli interessi confliggenti tramite una verifica delle ipotesi da lui formulate e solo successivamente giungerà alla determinazione definitiva del significato. Un esempio di indeterminatezza dell’ordinamento è rappresentato dalle lacune. L’interpretazione è la variabile da cui dipende la sussistenza o meno di lacune all’interno dell’ordinamento. Una lacuna si produce quando il legislatore disciplina una serie di fattispecie ma omette di disciplinare una delle combinazioni possibili, infatti si ha una lacuna quando la fattispecie è priva di disciplina. Le lacune non sono solo un problema interpretativo ma con l’interpretazione si può prevenire una lacuna o produrla attraverso le tecniche della dissociazione e dell’argomento a contrario. Tuttavia l’interpretazione non può colmare la lacuna perché si presenta ad interpretazione ormai avvenuta, quindi per colmarla si può solo integrare il diritto tramite la creazione di diritto nuovo. A questo proposito, quasi tutti i codici autorizzano il giudice ad usare una pluralità di tecniche costruttive/interpretative intrinsecamente discrezionali.

Altra fonte di indeterminatezza è data dalle norme, a causa della strutturale vaghezza del linguaggio. Ogni norma è indeterminata nel senso che non si sa quali fattispecie ricadano nel suo campo di applicazione, ciò dipende dalla vaghezza dei predicati. L’interprete dovrà decidere discrezionalmente se la fattispecie ricade all’interno del campo di applicazione della norma in questione utilizzando l’analogia e la dissociazione.

 

3.  Conclusioni

 

3.1 Crisi del principio di legalità

Nell’ordinamento giuridico moderno, il modello ideale secondo cui i giudici dovrebbero ragionare è il principio di legalità. Tradizionalmente il principio di legalità, con cui si indica l’osservanza e la conformità alla legge è riferito al potere esecutivo. Il modo di vedere risalente non si preoccupava di un possibile legame tra potere esecutivo e detto principio perché i diritti soggettivi nascevano direttamente dalla legge. Non si preoccupava nemmeno della violazione del principio da parte del potere giurisdizionale perché sottoposto all’applicazione della legge. 

Oggi questa visione è screditata. Nella cultura giuridica contemporanea la dottrina sostiene che i diritti dei cittadini traggono origine dalla costituzione e la funzione giurisdizionale non è solo applicazione rigorosa della legge, ma consente ampi margini di discrezionalità. Infatti, si è portati a pensare che qualsiasi costituzione disciplini una piccola parte della vita politica e sociale, pertanto una vasta parte della nostra vita non è disciplinata da alcuna norma giuridica. In questo spazio giuridicamente vuoto ogni condotta è permessa per mancanza di parametri di legittimità costituzionale. L’orientamento dominante sovra-interpreta la costituzione attraverso l’esclusione del diritto costituzionale lacunoso o con l’elaborazione di norme inespresse per colmare dette lacune. Se si guarda alla prassi e agli orientamenti degli organi costituzionali, si ha l’impressione che la costituzione non eserciti una significativa influenza sulla vita politica in Italia. Al contrario, è facile constatare che la tendenza è quella di accantonare la costituzione vigente. Oggi, siamo di fronte ad una legge che non è più fonte privilegiata del diritto, soprattutto, perchè il potere esecutivo ha acquisito negli anni un ruolo sempre maggiore nella produzione normativa. Inoltre, il declino della legge si riscontra nell’art 117 Cost. con cui si indica il rispetto della costituzione ma anche di tutti i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Ancora a riguardo, la giurisprudenza ormai pacifica sia della Corte costituzionale, sia della Corte di giustizia europea, ritiene che i regolamenti dell’Unione europea prevalgano in caso di conflitto sulle leggi nazionali.

 

3.2 Interpretazione conforme

Un tema attuale, inerente l’interpretazione, si può riscontrare nell’interpretazione conforme, come hanno indicato la Corte di giustizia dell’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo. Infatti, non c'è ordinamento che non riconosca la necessità per l'interprete di dare il senso migliore alle singole disposizioni per cui esse possono coesistere tra loro. I canoni dell'interpretazione hanno un potere prescrittivo debole, e questo è il caso dell'interpretazione conforme. Tuttavia ci sono contesti in cui il vincolo di interpretazione conforme acquista un grado più intenso, che deriva da fattori interni alla costruzione dell’ordinamento. In questo caso l'interprete è tenuto ad applicare prioritariamente il canone dell'interpretazione conforme, essendo sanzionato dalla Corte costituzionale colui che non rispetti questo precetto. Le due sentenze in cui si può trovare questo principio esplicitato sono il caso Pupino 16 giugno 2005 e il caso Drassich 11 dicembre 2007iv.

Per concludere si deve sottolineare che l’interpretazione giuridica, intesa come determinazione del significato degli enunciati normativi, tratta di una scelta tra più soluzioni alternative delimitate dall’applicazione delle regole semantiche e sintattiche della lingua nella quale è formulato l’enunciato. Proprio per questa ragione ad uno stesso contenuto rappresentativo di un enunciato può venire attribuito un significato completamente diverso a seconda che faccia parte del linguaggio comune o del linguaggio giuridico. Il profilo più problematico del quadro appena tracciato risiede nella sottovalutazione della specificità del linguaggio giuridico e nella sopravvalutazione del ruolo del linguaggio ordinario; infatti nel dibattito attuale è proprio la considerazione di quest’ultimo aspetto a farla da padrona.

 

i R. Guastini, “Interpretare e argomentare”, Giuffré editore, 2011

ii E. Orlandi, "L’interpretazione autentica nei suoi profili teorici ed applicativi", 2012

iii A. Ross, “On Law and Justice”, London,1958 e G. Tarello, “L’interpretazione della legge”, Milano, 1980

iv V. Manes e V. Zagrebelsky, “La Convenzione europea dei dritti dell’uomo nell’ordinamento penale italiano”, Giuffrè Editore, 2011